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Terapia degli edemi - Linfedema

mar 10, 2020

Il linfedema oncologico prima e dopo il trattamento con bendaggio e linfodrenaggio

Per linfedema si intende una malattia causata da un mal funzionamento del sistema linfatico (insufficienza meccanica dei vasi linfatici ossia capacità fisiologica di trasporto linfatico ridotta) che determina stasi linfatica e produzione di un edema (gonfiore) ad elevato contenuto di proteine nell'interstizio. L'aumento di volume può avvenire in qualsiasi parte del corpo ma è più frequente a livello degli arti.

Il linfedema si distingue in:

  • linfedema primario o idiopatico
La causa non è individuabile e il linfedema è presumibilmente dovuto ad un' alterazione genetica del sistema linfatico. La disfunzione può essere a carico dei linfonodi, dei collettori linfatici, delle fibrille di ancoraggio, delle valvole. L'edema può essere presente alla nascita, svilupparsi precocemente oppure dopo i trent'anni. Il gonfiore colpisce solitamente prima un arto ma è frequentemente bilaterale asimmetrico. Più spesso esordisce distalmente (dai piedi) per poi evolvere verso l'alto. Esistono dei test genetici, ma pochi linfedemi primari sono positivi al test.

  • linfedema secondario
E' dovuto ad un'ostruzione delle vie linfatiche, ad un danno del sistema linfatico (in seguito a traumi, interventi chirurgici o radioterapia) o al disuso (emiplegia, peraplegia o allettamento/ipomobilità).

Il linfedema secondario più noto è quello oncologico dovuto all'asportazione chirurgica di linfonodi a causa di un tumore. Oggi grazie all'introduzione della tecnica del linfonodo sentinella i casi di linfedemi oncolocici si sono notevolmente ridotti ma riguardano comunque una porzione non sottovalutabile di linfoadenectomie. Si stima che circa il 20% delle donne mastectomizzate e sottoposte a linfoadenectomia sviluppi un linfedema e tale rischio aumenta se si associa la radioterapia.

Come mai in alcune persone si forma il linfedema e in altre no? Semplificando molto spesso il danno subito dal sistema linfatico è compensato dal sistema linfatico stesso, dal sistema venoso o da altri meccanismi. E' opinione sempre più diffusa che la causa scatenante agisca su un sistema linfatico più fragile del normale.

La stadiazione prevede una fase in cui il linfedema è ancora latente (non ci sono segni clinici ma il sistema di trasporto linfatico è limitato), una fase in cui l'edema è reversibile solitamente con il riposo notturno o con l'elevazione dell'arto, uno stadio in cui il gonfiore è sempre presente e il tessuto inizia ad indurirsi (edema organizzato o fibrosi). L'ultima fase è rappresentata da fibrosi diffusa, arto "a colonna" e disturbi secondari (come infezioni o limitazione dei movimenti).

Uno dei segni distintivi del linfedema è la fovea, ossia l'impronta lasciata dalla pressione di un dito sulla cute. Inizialmente questo segno può non essere presente, mentre negi ultimi stadi è difficilmente evocabile. Più è profonda l'impronta più il tessuto è ricco di liquido.

Il linfedema è comunque una malattia cronica e degenerativa. Se non curato o trattato in modo inadeguato, molto spesso, evolve progressivamente. L'edema aumenta e con questo il volume dell'arto. L'accumulo di proteine nel tessuto interstiziale determina una reazione connettivale che consiste in un'anomala produzione di tessuto fibrotico e/o adiposo (fibrosi/fibroliposclerosi).

Se il linfedema viene trattato adeguatamente può regredire molto fino ad essere poco visibile ed essere controllato con una corretta terapia conservativa (calza contenitiva e trattamento fisioterapico).

Più precocemente si interviene più i risultati saranno apprezzabili e l'impegno di risorse, anche economiche, sarà ridotto.
Autore: Gabriella Sessa 24 apr, 2024
Terapia fisica vascolare Bemer con terapie fisiche nel nostro studio di massaggi medicali.
Autore: Gabriella Sessa 27 feb, 2024
Massaggio medicale e sistema linfatico
massaggio cicatrici
Autore: Xavier Mercier 10 lug, 2020
Una lesione della cute e dei tessuti profondi crea dei meccanismi di riparazione naturali, che portano nel tempo a riunire i tessuti colmando gli spazi vuoti grazie alla presenza del tessuto connettivo, fibroso ed elastico. La cicatrice , quindi, è il risultato di questa riparazione del tessuto che non si organizza, però, seguendo le direzioni solite del tessuto dato che, dovendolo “ricucire” perde in elasticità e si unisce in modo indifferenziato molti strati, che andranno a vincolarsi tra loro quasi fossero “incollati”. Il tessuto perde flessibilità di movimento, e in questa zona interessata dalla cicatrice si alterano anche normali funzioni come il flusso sanguigno, linfatico, la presenza delle piccole terminazioni nervose che saranno bloccate. Il blocco dei tessuti altera la loro elasticità e, nei casi in cui non riescono più a scorrere tra loro si può definire aderenza cicatriziale. Nei casi in cui, invece, la cicatrice sembra mobile e scatena dolore, si parla di cicatrice attiva. La differenza dipende dal trauma, dalla cura della ferita e dall’età (per i processi di riparazione della cute è certo una discriminante), e le cicatrici si differenziano a seconda del processo di sviluppo che possono avere. Sono presenti: cicatrici ipotrofiche: dove la pelle è molto sottile, che appaiono come smagliature oppure ustioni; questo tipo di cicatrici può riaprirsi; cicatrici ipertrofiche: in queste il tessuto si organizza seguendo delle trame “a corde” e sporge dalla pelle; cicatrici cheloidi: i cheloidi sono lesioni cicatriziali che si formano sulla cute in seguito alle lesioni, in modo esteso e diffondendosi anche nelle zone limitrofe. Si tratta di una patologia in cui si presenta una esagerata produzione di tessuto cicatriziale, e spesso la rimozione del tessuto cheloide viene richiesta a livello chirurgico per motivi estetici. Col trattamento manuale agiamo sulla cicatrice recente in modo da muovere e scollarne i tessuti, scollandola “pinzandola” per staccare i tessuti sottostanti. In questo primo momento del massaggio si possono sentire dei pruriti e pizzicori, visto che la sensibilità è differente rispetto a prima e può essere maggiore, durante l’intervento o il trauma che ha provocato la cicatrice, vengono lesionati i tessuti e le terminazioni nervose. Trattiamo una cicatrice recente, senza timore di manipolarla perché in generale non si “aprono” i tessuti. Massaggiamo in modo da stringerli e alzarli verso l’alto, con la tecnica per la quale si simula il “pizzicare”. Il pincé-roulé o scollamento è una manovra che consiste nel sollevamento della pelle tra pollice ed indice uniti, seguito dallo scorrere di indice, medio e anulare come se si volesse sentire la consistenza dei tessuti, plasmarli. Una manovra che agisce sul sistema vascolare accrescendone la mobilità sui piani profondi, e stimolandone le terminazioni sensitive. Teniamo una parte della cicatrice verso l’alto e tirare la pelle da un lato e poi dall’altro, e se notiamo che durante il trattamento la cicatrice cambia colore, sappiamo che deriva dal fatto che si sta vascolarizzando. Il cambiamento del colore nel tempo, invece, può essere dovuto ai piccoli capillari che si formano sul cheloide. Prendiamo e manipoliamo i lembi del tessuto, in particolare se la cicatrice è molto incollata la prendiamo tra le dita e facciamo una pressione verso l’alto ben decisa, e dopo anche verso il basso, per cercare di staccarla dai piani sottostanti. Nel massaggio della cicatrice , l’importante è cercare di scollare più possibile tessuti, facendo pressione sul taglio stesso in un senso e nell’altro. Potete tenere un pezzo di pelle con un dito e massaggiare in maniera circolare l’altra porzione vicina: con un dito si ferma e con l’altro si massaggia, per poi anche tirare e continuare a massaggiare. Se la trattate voi vi ricordo che non è consigliato utilizzare degli oli o delle creme per far scivolare le mani, perché è importante riuscire a prendere la pelle in modo deciso (cosa che difficilmente succede se utilizzate un olio). Solo alla fine potete utilizzare qualche prodotto, meglio se a fine trattamento si usano delle creme per schiarire la cicatrice, che vanno massaggiate con piccoli movimenti circolari sulla cicatrice stessa.
Autore: mywebsite 10 mar, 2020
Dopo ogni linfadenectomia , nel relativo quadrante linfatico è sempre latente lo sviluppo di un linfedema. Tale rischio aumenta se si combina la chirurgia con la radioterapia e/o la chemioterapia. Si stima nel caso di linfoadenectomie ascellari una percentuale di comparsa del linfedema fino al 20% che può salire al 30% se associata a radioterapia . La probabilità di comparsa del linfedema è correlata oltre che all’entità del danno, alla capacità del sistema linfatico di compensarlo secondo una variabilità individuale. Se il danno meccanico è troppo esteso o se permane troppo a lungo e il sistema linfatico non riesce più a compensarlo si crea un edema manifesto . Questo può avvenire a distanza di anni, generalmente uno o due, che costituiscono il periodo di latenza. Il passaggio dallo stadio latente a quello manifesto può essere influenzato anche dallo stile di vita del paziente, che dovrebbe essere informato in modo esaustivo sui rischi, senza essere allarmato inutilmente. Nei pazienti con danno meccanico del sistema linfatico è opportuno quindi promuovere sia uno stile di vita corretto per prevenire, per quanto possibile, il linfedema, sia una conoscenza della malattia, spesso sottovalutata, per intervenire tempestivamente . Il linfedema se trascurato o non trattato adeguatamente comporta un’evoluzione progressiva, variabilmente degenerativa, con aumento ingravescente dell’edema e reazioni connettivali dovute alla stasi linfostatica con accumulo di proteine e conseguente proliferazione anomala di tessuto fibroso e adiposo. Informare significa permettere al paziente di individuare i sintomi precocemente, quando l’edema linfatico può essere ancora reversibile. E’ possibile individuare i pazienti con maggiori probabilità di sviluppo di linfedema oncologico? In caso di carcinoma mammario una valutazione dei fattori di rischio legati all’intervento e alle caratteristiche individuali della paziente comprende evidenze significative: mastectomia rispetto a quadrantectomia, dissezione ascellare rispetto a linfonodo sentinella, numero di linfonodi asportati maggiore di 10, radioterapia, BMI elevato, presenza e numero di linfonodi metastatici. Altri potenziali fattori di rischio sono radioterapia in sede ascellare o sovraclaveare, infusione chemioterapica nell’arto omolaterale all’intervento, non svolgimento di regolare attività fisica dopo l’intervento e sieroma post-operatorio (1). Ai pazienti a rischio di sviluppare linfedema sono talvolta consigliati cicli di linfodrenaggio, che però, senza la presenza di edema manifesto, non hanno evidenza e nella maggior parte dei casi possono risultare uno spreco di risorse; l’unica utilità può essere che il fisioterapista in tale sede fornisca informazioni e consigli utili e monitori lo stato dell’edema. All’opposto spesso al paziente viene solo fornito un opuscolo informativo sul linfedema e sui comportamenti a rischio che possono provocarne l’insorgenza senza spiegazioni specifiche con il rischio di interpretazioni scorrette. Sarebbe auspicabile l’individuazione , al termine delle prime cure oncologiche, dei pazienti a rischio di sviluppare il linfedema per attuare un progetto di prevenzione primaria. Può essere sufficiente, infatti, una sola seduta educativa per informare il paziente sul corretto stile di vita da adottare, sul rischio di sviluppare un linfedema e sull’individuazione precoce dei sintomi. La seduta deve fornire le basi razionali e le spiegazioni scientifiche dell’efficacia di un trattamento o di un comportamento e motivare il paziente attraverso stimoli che rafforzino la volontà di aderire coscientemente al cambiamento dello stile di vita. Il paziente viene così informato senza essere allertato dell’esistenza di questa complicanza, della possibilità, in situazioni come la sua in cui il sistema linfatico ha subito un danno, della comparsa di edema e dei comportamenti da adottare. E’ importante che a queste spiegazioni sia data una base scientifica che permetta di differenziarle dalle informazioni non sempre corrette ma sempre più fruibili che si trovano su Internet o sulle riviste. In particolare durante la seduta saranno mostrate diapositive e immagini che illustrino in modo semplice e intuitivo i seguenti concetti discussi insieme al fisioterapista: Cos’è il linfedema? Perché si presenta in alcune persone e in altre no? Qual è la percentuale di insorgenza? Come si riconosce ai primi sintomi? In quali parti del corpo si può manifestare? Quali sono i comportamenti idonei a “prevenirlo”? Come comportarsi e a chi rivolgersi in caso di comparsa di edema per evitare trattamenti inutili e privi di evidenza scientifica? In caso di linfedema dell’arto superiore al primo stadio il trattamento precoce è in grado di indurre una regressione anche completa con un modesto impegno terapeutico. L’uso di un bracciale elastico di prima classe di compressione si è dimostrato in grado di ridurre in maniera pressochè completa entro un mese un linfedema appena insorto. In caso di comparsa del linfedema può essere indicato un tutore elastico leggero per un mese: se l’edema si riduce si sospende l’utilizzo del bracciale e si riprende la sorveglianza, mentre se l’edema aumenta si inizia il ciclo di terapia decongestiva. Un paziente correttamente educato e motivato adotterà uno stile di vita che ridurrà la possibilità di comparsa del linfedema e sarà in grado di riconoscerlo precocemente nel caso compaia. Un edema trattato tempestivamente può regredire o comunque essere fermato prima che possa provocare complicanze sfavorevoli per il paziente (mediche ma anche psicologiche e sociali) con un notevole risparmio di risorse anche economiche.
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