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Prevenzione del linfedema oncologico

mar 10, 2020
Dopo ogni linfadenectomia, nel relativo quadrante linfatico è sempre latente lo sviluppo di un linfedema.

Tale rischio aumenta se si combina la chirurgia con la radioterapia e/o la chemioterapia. Si stima nel caso di linfoadenectomie ascellari una percentuale di comparsa del linfedema fino al 20% che può salire al 30% se associata a radioterapia.

La probabilità di comparsa del linfedema è correlata oltre che all’entità del danno, alla capacità del sistema linfatico di compensarlo secondo una variabilità individuale. Se il danno meccanico è troppo esteso o se permane troppo a lungo e il sistema linfatico non riesce più a compensarlo si crea un edema manifesto. Questo può avvenire a distanza di anni, generalmente uno o due, che costituiscono il periodo di latenza. Il passaggio dallo stadio latente a quello manifesto può essere influenzato anche dallo stile di vita del paziente, che dovrebbe essere informato in modo esaustivo sui rischi, senza essere allarmato inutilmente. Nei pazienti con danno meccanico del sistema linfatico è opportuno quindi promuovere sia uno stile di vita corretto per prevenire, per quanto possibile, il linfedema, sia una conoscenza della malattia, spesso sottovalutata, per intervenire tempestivamente. Il linfedema se trascurato o non trattato adeguatamente comporta un’evoluzione progressiva, variabilmente degenerativa, con aumento ingravescente dell’edema e reazioni connettivali dovute alla stasi linfostatica con accumulo di proteine e conseguente proliferazione anomala di tessuto fibroso e adiposo.

Informare significa permettere al paziente di individuare i sintomi precocemente, quando l’edema linfatico può essere ancora reversibile.

E’ possibile individuare i pazienti con maggiori probabilità di sviluppo di linfedema oncologico?

In caso di carcinoma mammario una valutazione dei fattori di rischio legati all’intervento e alle caratteristiche individuali della paziente comprende evidenze significative: mastectomia rispetto a quadrantectomia, dissezione ascellare rispetto a linfonodo sentinella, numero di linfonodi asportati maggiore di 10, radioterapia, BMI elevato, presenza e numero di linfonodi metastatici. Altri potenziali fattori di rischio sono radioterapia in sede ascellare o sovraclaveare, infusione chemioterapica nell’arto omolaterale all’intervento, non svolgimento di regolare attività fisica dopo l’intervento e sieroma post-operatorio (1).

Ai pazienti a rischio di sviluppare linfedema sono talvolta consigliati cicli di linfodrenaggio, che però, senza la presenza di edema manifesto, non hanno evidenza e nella maggior parte dei casi possono risultare uno spreco di risorse; l’unica utilità può essere che il fisioterapista in tale sede fornisca informazioni e consigli utili e monitori lo stato dell’edema. All’opposto spesso al paziente viene solo fornito un opuscolo informativo sul linfedema e sui comportamenti a rischio che possono provocarne l’insorgenza senza spiegazioni specifiche con il rischio di interpretazioni scorrette.

Sarebbe auspicabile l’individuazione, al termine delle prime cure oncologiche, dei pazienti a rischio di sviluppare il linfedema per attuare un progetto di prevenzione primaria. Può essere sufficiente, infatti, una sola seduta educativa per informare il paziente sul corretto stile di vita da adottare, sul rischio di sviluppare un linfedema e sull’individuazione precoce dei sintomi. La seduta deve fornire le basi razionali e le spiegazioni scientifiche dell’efficacia di un trattamento o di un comportamento e motivare il paziente attraverso stimoli che rafforzino la volontà di aderire coscientemente al cambiamento dello stile di vita. Il paziente viene così informato senza essere allertato dell’esistenza di questa complicanza, della possibilità, in situazioni come la sua in cui il sistema linfatico ha subito un danno, della comparsa di edema e dei comportamenti da adottare. E’ importante che a queste spiegazioni sia data una base scientifica che permetta di differenziarle dalle informazioni non sempre corrette ma sempre più fruibili che si trovano su Internet o sulle riviste.

In particolare durante la seduta saranno mostrate diapositive e immagini che illustrino in modo semplice e intuitivo i seguenti concetti discussi insieme al fisioterapista:

  • Cos’è il linfedema?

  • Perché si presenta in alcune persone e in altre no?

  • Qual è la percentuale di insorgenza?

  • Come si riconosce ai primi sintomi?

  • In quali parti del corpo si può manifestare?

  • Quali sono i comportamenti idonei a “prevenirlo”?

  • Come comportarsi e a chi rivolgersi in caso di comparsa di edema per evitare trattamenti inutili e privi di evidenza scientifica?

In caso di linfedema dell’arto superiore al primo stadio il trattamento precoce è in grado di indurre una regressione anche completa con un modesto impegno terapeutico. L’uso di un bracciale elastico di prima classe di compressione si è dimostrato in grado di ridurre in maniera pressochè completa entro un mese un linfedema appena insorto.

In caso di comparsa del linfedema può essere indicato un tutore elastico leggero per un mese: se l’edema si riduce si sospende l’utilizzo del bracciale e si riprende la sorveglianza, mentre se l’edema aumenta si inizia il ciclo di terapia decongestiva.

Un paziente correttamente educato e motivato adotterà uno stile di vita che ridurrà la possibilità di comparsa del linfedema e sarà in grado di riconoscerlo precocemente nel caso compaia. Un edema trattato tempestivamente può regredire o comunque essere fermato prima che possa provocare complicanze sfavorevoli per il paziente (mediche ma anche psicologiche e sociali) con un notevole risparmio di risorse anche economiche.
Autore: Gabriella Sessa 24 apr, 2024
Terapia fisica vascolare Bemer con terapie fisiche nel nostro studio di massaggi medicali.
Autore: Gabriella Sessa 27 feb, 2024
Massaggio medicale e sistema linfatico
massaggio cicatrici
Autore: Xavier Mercier 10 lug, 2020
Una lesione della cute e dei tessuti profondi crea dei meccanismi di riparazione naturali, che portano nel tempo a riunire i tessuti colmando gli spazi vuoti grazie alla presenza del tessuto connettivo, fibroso ed elastico. La cicatrice , quindi, è il risultato di questa riparazione del tessuto che non si organizza, però, seguendo le direzioni solite del tessuto dato che, dovendolo “ricucire” perde in elasticità e si unisce in modo indifferenziato molti strati, che andranno a vincolarsi tra loro quasi fossero “incollati”. Il tessuto perde flessibilità di movimento, e in questa zona interessata dalla cicatrice si alterano anche normali funzioni come il flusso sanguigno, linfatico, la presenza delle piccole terminazioni nervose che saranno bloccate. Il blocco dei tessuti altera la loro elasticità e, nei casi in cui non riescono più a scorrere tra loro si può definire aderenza cicatriziale. Nei casi in cui, invece, la cicatrice sembra mobile e scatena dolore, si parla di cicatrice attiva. La differenza dipende dal trauma, dalla cura della ferita e dall’età (per i processi di riparazione della cute è certo una discriminante), e le cicatrici si differenziano a seconda del processo di sviluppo che possono avere. Sono presenti: cicatrici ipotrofiche: dove la pelle è molto sottile, che appaiono come smagliature oppure ustioni; questo tipo di cicatrici può riaprirsi; cicatrici ipertrofiche: in queste il tessuto si organizza seguendo delle trame “a corde” e sporge dalla pelle; cicatrici cheloidi: i cheloidi sono lesioni cicatriziali che si formano sulla cute in seguito alle lesioni, in modo esteso e diffondendosi anche nelle zone limitrofe. Si tratta di una patologia in cui si presenta una esagerata produzione di tessuto cicatriziale, e spesso la rimozione del tessuto cheloide viene richiesta a livello chirurgico per motivi estetici. Col trattamento manuale agiamo sulla cicatrice recente in modo da muovere e scollarne i tessuti, scollandola “pinzandola” per staccare i tessuti sottostanti. In questo primo momento del massaggio si possono sentire dei pruriti e pizzicori, visto che la sensibilità è differente rispetto a prima e può essere maggiore, durante l’intervento o il trauma che ha provocato la cicatrice, vengono lesionati i tessuti e le terminazioni nervose. Trattiamo una cicatrice recente, senza timore di manipolarla perché in generale non si “aprono” i tessuti. Massaggiamo in modo da stringerli e alzarli verso l’alto, con la tecnica per la quale si simula il “pizzicare”. Il pincé-roulé o scollamento è una manovra che consiste nel sollevamento della pelle tra pollice ed indice uniti, seguito dallo scorrere di indice, medio e anulare come se si volesse sentire la consistenza dei tessuti, plasmarli. Una manovra che agisce sul sistema vascolare accrescendone la mobilità sui piani profondi, e stimolandone le terminazioni sensitive. Teniamo una parte della cicatrice verso l’alto e tirare la pelle da un lato e poi dall’altro, e se notiamo che durante il trattamento la cicatrice cambia colore, sappiamo che deriva dal fatto che si sta vascolarizzando. Il cambiamento del colore nel tempo, invece, può essere dovuto ai piccoli capillari che si formano sul cheloide. Prendiamo e manipoliamo i lembi del tessuto, in particolare se la cicatrice è molto incollata la prendiamo tra le dita e facciamo una pressione verso l’alto ben decisa, e dopo anche verso il basso, per cercare di staccarla dai piani sottostanti. Nel massaggio della cicatrice , l’importante è cercare di scollare più possibile tessuti, facendo pressione sul taglio stesso in un senso e nell’altro. Potete tenere un pezzo di pelle con un dito e massaggiare in maniera circolare l’altra porzione vicina: con un dito si ferma e con l’altro si massaggia, per poi anche tirare e continuare a massaggiare. Se la trattate voi vi ricordo che non è consigliato utilizzare degli oli o delle creme per far scivolare le mani, perché è importante riuscire a prendere la pelle in modo deciso (cosa che difficilmente succede se utilizzate un olio). Solo alla fine potete utilizzare qualche prodotto, meglio se a fine trattamento si usano delle creme per schiarire la cicatrice, che vanno massaggiate con piccoli movimenti circolari sulla cicatrice stessa.
Autore: mywebsite 10 mar, 2020
Per insufficienza venosa cronica si intende un insieme di sintomi causati da un difficoltoso ritorno venoso . Il disturbo è molto diffuso, più nella popolazione femminile, e spesso sottostimato. L' insufficienza venosa cronica può essere distinta a seconda delle cause in : Organica dovuta a patologie delle vene come ad esempio varici o esiti di trombosi venosa. Le vene si dilatano e le valvole non sono in grado di consentire una completa chiusura rendendo difficoltoso il ritorno di sangue venoso verso il cuore. Tra le cause maggiormente coinvolte nel processo della malattia venosa si possono elencare la familiarità, l’ortostatismo prolungato oppure la prolungata stazione seduta, il sovrappeso, le gravidanze, precedenti trombosi venose. Funzionale dovuta ad un iperlavoro delle vene da sovraccarico funzionale. Le vene non presentano patologie ma sono costrette ad un lavoro eccessivo a causa per esempio di posture scorrette, posizioni statiche prolungate, linfedema. Posture alterate condizionano negativamente l'azione della pompa muscolare surale comportando edema e sintomi dell'insufficienza venosa. Inoltre alterazioni della forma della pianta del piede (come piattismo, malformazioni anatomiche e funzionali congenite o conseguenti a traumi o fratture del piede o della caviglia, malattie reumatologiche...) possono condurre ad uno scorretto appoggio a terra e di conseguenza ad una stasi venosa periferica. La correzione della postura mediante appositi plantari e l’eventuale utilizzo di una calza elastocompressiva possono rimettere in funzione il “cuore periferico” e migliorare i sintomi. Anche il linfedema può favorire l'insorgenza dell'isufficienza venosa in quanto comporta un maggiore lavoro delle vene. La diagnosi è di competenza del medico angiologo , a cui è consigliato rivolgersi per una visita specialistica. Cosa può fare il massaggiatore medicale ? Può trattare uno dei sintomi più frequenti, l'edema, con miglioramento del senso di pesantezza, del dolore e dell'aspetto estetico applicando i principi della terapia complessa decongestionante Inoltre valutare eventuali alterazioni posturali che potrebbero essere la causa dell'insufficienza della pompa muscolare. Può consigliare specifici esercizi e promuovere un corretto stile di vita. Può anche valutare la necessità di un plantare, se l'appoggio scorretto del piede è causa di insufficienza della pompa plantare.
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