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Lo strappo muscolare

mar 12, 2019

Lo strappo, o distrazione muscolare è una lesione che causa la rottura di alcune fibre che compongono il muscolo, la lesione è generalmente causata da un’eccessiva sollecitazione (brusche contrazioni o scatti improvvisi, movimenti ripetitivi) ed è piuttosto frequente in ambito sportivo (soprattutto negli sport che richiedono un movimento muscolare esplosivo come sollevamento tennis, pesi, baseball, calcio, gare di sprint e di salto…).

Spesso gli strappi muscolari avvengono in condizioni di scarso allenamento o quando il muscolo è particolarmente stanco, impreparato a sostenere lo sforzo (mancato riscaldamento).

STRAPPO DI I° GRADO (fibre danneggiate <5%) :
Questa è una piccola lesione muscolare dove sono danneggiate solo poche fibre (meno del 5%), viene danneggiato solo un fascio che viene considerato un danno modesto che non danneggia il tessuto connettivale di supporto.

Caratteristiche:

  • avvertito come un leggero dolore o fastidio che si accentua durante la contrazione e l’allungamento muscolare
  • dolore è localizzato sul ventre muscolare in un punto preciso, ed è puntuale
  • non si ha quindi un’importante perdita di forza ma una limitazione del movimento funzionale
  • il dolore aumenta sia con una contrazione contro resistenza che con un allungamento passivo
  • spesso presa come contrattura antalgica
  • non c’è ematoma o ecchimosi visibili
Terapia:

  • subito RICE = REST (riposo) – ICE (ghiaccio) – COMPRESSION (compressione) – ELEVATION (elevazione)
  • DLM = Drenaggio linfatico manuale
  • dopo 2 – 3 giorni controllo del medico per escludere lesioni più gravi
  • dopo 3 – 4 giorni, se il dolore è diminuito si può fare un massaggio decontratturante (non sopra la lesione), prima superficiale poi più profondo, sempre non sopra la lesione (prossimale e distale)
  • termoterapia (dopo 72 ore si può alternare caldo e freddo)
  • stretching (contrazione e rilasciamento muscolare)
  • tape
STRAPPO DI II° GRADO (fibre danneggiate <75%) :
La gravità dello strappo aumenta poiché viene coinvolto un maggior numero di fibre e sono interessati più fasci muscolari, ma normalmente nessun o limitato danno al tessuto connettivo di supporto.

Caratteristiche:

  • Il dolore è molto acuto, puntuale, ed è simile ad una fitta e viene chiaramente avvertito in seguito ad una violenta contrazione muscolare: sensazione “d’allungamento” del muscolo.
  • Il dolore aumenta con una contrazione contro resistenza e allungamento
  • La lesione interferisce con il gesto atletico, impotenza funzionale più o meno grave impossibile finire la gara)
  • Il dolore può essere aggravato da ogni tentativo di contrarre il muscolo.
  • Ecchimosi o ematoma moderato

Terapia:

  • subito RICE = REST (riposo) – ICE (ghiaccio) – COMPRESSION (compressione) – ELEVATION (elevazione)
  • DLM = Drenaggio linfatico manuale
  • NIENTE MASSAGGIO !!!!!
  • niente FANS in fase acuta ( FANS = categoria dei Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei, capaci di ridurre numerosi processi infiammatori …)
  • DAL MEDICO
  • riposo muscolare, scarico parziale, bendaggio funzionale, eventuali FANS, miorilassanti, DLM
  • dopo8 – 10 possibile massaggio decontratturante, sempre non sopra la lesione (prossimale e distale)
  • riabilitazione, elettroterapia (U.S. = ultrasuoni)
  • dopo 20 – 40 giorni, ripresa attività agonistica e qui MTP = Massaggio trasverso profondo e termoterapia
STRAPPO DI III° GRADO (fibre danneggiate >75%) :
L’alto numero di fibre coinvolte causa una vera e propria lacerazione del ventre muscolare, con interruzione anatomica del muscolo (completa o semi completa coinvolge comunque almeno 3/4 delle fibre).

Caratteristiche:

  • Il dolore è improvviso e violentissimo, acuto durante una violenta contrazione.
  • Determina una completa impotenza funzionale tanto che se la lesione coinvolge gli arti inferiori l’atleta si accascia immediatamente al suolo.
  • Sensazione di “rottura”
  • C’è un’assoluta impotenza funzionale.
  • In questa lesione si avverte alla palpazione come un avvallamento, un vero e proprio scalino che testimonia l’entità della rottura.
  • C’è un ‘ematoma intramuscolare
  • E un danno al tessuto connettivale di sostegno

Terapia:

  • SUBITO RICE = REST (riposo) – ICE (ghiaccio) – COMPRESSION (compressione) – ELEVATION (elevazione) e DLM = Drenaggio linfatico manuale
  • Dal medico (ecografia)
  • 3 giorni nella fase acuta: RIPOSO COMPLETO, NIENTE FANS
  • Mobilizzazione dopo 3 – 6 giorni
  • Fase acuta 4 – 10 giorni DLM, elettroterapia
  • NIENTE MASSAGGIO IN LOCO
Fase di recupero:

  • Fare esercizi gradualmente (es: bici leggera, attività soft)
  • Stretching
  • Ev. elettroterapia
  • Massaggio decontratturante, sempre non sopra la lesione (prossimale e distale)
Quando l’ematoma è sparito:
  • MTP= massaggio trasverso profondo per rompere le aderenze
  • Trattamento dei punti dolorosi – massaggio funzionale – massaggio decontratturante
  • Dopo 6 – 10 settimane si può riprendere l’allenamento sportivo ma in assenza di dolori e contratture muscolari
  • Se i casi sono più gravi di rottura del muscolo i tempi di recupero possono allungarsi o essere necessario un intervento chirurgico.
LA PREVENZIONE:
Fase di recupero:

Un buon riscaldamento gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione delle lesioni muscolari e quindi anche negli strappi; vi sono però altri consigli che si possono fornire per minimizzare la possibilità di incorrere in uno strappo muscolare:
  • Praticare attività sportiva quando si è nelle giuste condizioni per affrontare lo sforzo fisico; allenarsi in condizioni fisiche precarie o quando non si è ancora recuperata adeguatamente la seduta di allenamento precedente, rischia di essere controproducente;
  • Scegliere un abbigliamento idoneo;
  • Non sottovalutare sintomi dolorosi di una certa importanza;
  • Effettuare stretching soltanto se lo si sa eseguire nel modo corretto (lo stretching non correttamente eseguito può essere fonte di notevoli danni).
Autore: Gabriella Sessa 24 apr, 2024
Terapia fisica vascolare Bemer con terapie fisiche nel nostro studio di massaggi medicali.
Autore: Gabriella Sessa 27 feb, 2024
Massaggio medicale e sistema linfatico
massaggio cicatrici
Autore: Xavier Mercier 10 lug, 2020
Una lesione della cute e dei tessuti profondi crea dei meccanismi di riparazione naturali, che portano nel tempo a riunire i tessuti colmando gli spazi vuoti grazie alla presenza del tessuto connettivo, fibroso ed elastico. La cicatrice , quindi, è il risultato di questa riparazione del tessuto che non si organizza, però, seguendo le direzioni solite del tessuto dato che, dovendolo “ricucire” perde in elasticità e si unisce in modo indifferenziato molti strati, che andranno a vincolarsi tra loro quasi fossero “incollati”. Il tessuto perde flessibilità di movimento, e in questa zona interessata dalla cicatrice si alterano anche normali funzioni come il flusso sanguigno, linfatico, la presenza delle piccole terminazioni nervose che saranno bloccate. Il blocco dei tessuti altera la loro elasticità e, nei casi in cui non riescono più a scorrere tra loro si può definire aderenza cicatriziale. Nei casi in cui, invece, la cicatrice sembra mobile e scatena dolore, si parla di cicatrice attiva. La differenza dipende dal trauma, dalla cura della ferita e dall’età (per i processi di riparazione della cute è certo una discriminante), e le cicatrici si differenziano a seconda del processo di sviluppo che possono avere. Sono presenti: cicatrici ipotrofiche: dove la pelle è molto sottile, che appaiono come smagliature oppure ustioni; questo tipo di cicatrici può riaprirsi; cicatrici ipertrofiche: in queste il tessuto si organizza seguendo delle trame “a corde” e sporge dalla pelle; cicatrici cheloidi: i cheloidi sono lesioni cicatriziali che si formano sulla cute in seguito alle lesioni, in modo esteso e diffondendosi anche nelle zone limitrofe. Si tratta di una patologia in cui si presenta una esagerata produzione di tessuto cicatriziale, e spesso la rimozione del tessuto cheloide viene richiesta a livello chirurgico per motivi estetici. Col trattamento manuale agiamo sulla cicatrice recente in modo da muovere e scollarne i tessuti, scollandola “pinzandola” per staccare i tessuti sottostanti. In questo primo momento del massaggio si possono sentire dei pruriti e pizzicori, visto che la sensibilità è differente rispetto a prima e può essere maggiore, durante l’intervento o il trauma che ha provocato la cicatrice, vengono lesionati i tessuti e le terminazioni nervose. Trattiamo una cicatrice recente, senza timore di manipolarla perché in generale non si “aprono” i tessuti. Massaggiamo in modo da stringerli e alzarli verso l’alto, con la tecnica per la quale si simula il “pizzicare”. Il pincé-roulé o scollamento è una manovra che consiste nel sollevamento della pelle tra pollice ed indice uniti, seguito dallo scorrere di indice, medio e anulare come se si volesse sentire la consistenza dei tessuti, plasmarli. Una manovra che agisce sul sistema vascolare accrescendone la mobilità sui piani profondi, e stimolandone le terminazioni sensitive. Teniamo una parte della cicatrice verso l’alto e tirare la pelle da un lato e poi dall’altro, e se notiamo che durante il trattamento la cicatrice cambia colore, sappiamo che deriva dal fatto che si sta vascolarizzando. Il cambiamento del colore nel tempo, invece, può essere dovuto ai piccoli capillari che si formano sul cheloide. Prendiamo e manipoliamo i lembi del tessuto, in particolare se la cicatrice è molto incollata la prendiamo tra le dita e facciamo una pressione verso l’alto ben decisa, e dopo anche verso il basso, per cercare di staccarla dai piani sottostanti. Nel massaggio della cicatrice , l’importante è cercare di scollare più possibile tessuti, facendo pressione sul taglio stesso in un senso e nell’altro. Potete tenere un pezzo di pelle con un dito e massaggiare in maniera circolare l’altra porzione vicina: con un dito si ferma e con l’altro si massaggia, per poi anche tirare e continuare a massaggiare. Se la trattate voi vi ricordo che non è consigliato utilizzare degli oli o delle creme per far scivolare le mani, perché è importante riuscire a prendere la pelle in modo deciso (cosa che difficilmente succede se utilizzate un olio). Solo alla fine potete utilizzare qualche prodotto, meglio se a fine trattamento si usano delle creme per schiarire la cicatrice, che vanno massaggiate con piccoli movimenti circolari sulla cicatrice stessa.
Autore: mywebsite 10 mar, 2020
Dopo ogni linfadenectomia , nel relativo quadrante linfatico è sempre latente lo sviluppo di un linfedema. Tale rischio aumenta se si combina la chirurgia con la radioterapia e/o la chemioterapia. Si stima nel caso di linfoadenectomie ascellari una percentuale di comparsa del linfedema fino al 20% che può salire al 30% se associata a radioterapia . La probabilità di comparsa del linfedema è correlata oltre che all’entità del danno, alla capacità del sistema linfatico di compensarlo secondo una variabilità individuale. Se il danno meccanico è troppo esteso o se permane troppo a lungo e il sistema linfatico non riesce più a compensarlo si crea un edema manifesto . Questo può avvenire a distanza di anni, generalmente uno o due, che costituiscono il periodo di latenza. Il passaggio dallo stadio latente a quello manifesto può essere influenzato anche dallo stile di vita del paziente, che dovrebbe essere informato in modo esaustivo sui rischi, senza essere allarmato inutilmente. Nei pazienti con danno meccanico del sistema linfatico è opportuno quindi promuovere sia uno stile di vita corretto per prevenire, per quanto possibile, il linfedema, sia una conoscenza della malattia, spesso sottovalutata, per intervenire tempestivamente . Il linfedema se trascurato o non trattato adeguatamente comporta un’evoluzione progressiva, variabilmente degenerativa, con aumento ingravescente dell’edema e reazioni connettivali dovute alla stasi linfostatica con accumulo di proteine e conseguente proliferazione anomala di tessuto fibroso e adiposo. Informare significa permettere al paziente di individuare i sintomi precocemente, quando l’edema linfatico può essere ancora reversibile. E’ possibile individuare i pazienti con maggiori probabilità di sviluppo di linfedema oncologico? In caso di carcinoma mammario una valutazione dei fattori di rischio legati all’intervento e alle caratteristiche individuali della paziente comprende evidenze significative: mastectomia rispetto a quadrantectomia, dissezione ascellare rispetto a linfonodo sentinella, numero di linfonodi asportati maggiore di 10, radioterapia, BMI elevato, presenza e numero di linfonodi metastatici. Altri potenziali fattori di rischio sono radioterapia in sede ascellare o sovraclaveare, infusione chemioterapica nell’arto omolaterale all’intervento, non svolgimento di regolare attività fisica dopo l’intervento e sieroma post-operatorio (1). Ai pazienti a rischio di sviluppare linfedema sono talvolta consigliati cicli di linfodrenaggio, che però, senza la presenza di edema manifesto, non hanno evidenza e nella maggior parte dei casi possono risultare uno spreco di risorse; l’unica utilità può essere che il fisioterapista in tale sede fornisca informazioni e consigli utili e monitori lo stato dell’edema. All’opposto spesso al paziente viene solo fornito un opuscolo informativo sul linfedema e sui comportamenti a rischio che possono provocarne l’insorgenza senza spiegazioni specifiche con il rischio di interpretazioni scorrette. Sarebbe auspicabile l’individuazione , al termine delle prime cure oncologiche, dei pazienti a rischio di sviluppare il linfedema per attuare un progetto di prevenzione primaria. Può essere sufficiente, infatti, una sola seduta educativa per informare il paziente sul corretto stile di vita da adottare, sul rischio di sviluppare un linfedema e sull’individuazione precoce dei sintomi. La seduta deve fornire le basi razionali e le spiegazioni scientifiche dell’efficacia di un trattamento o di un comportamento e motivare il paziente attraverso stimoli che rafforzino la volontà di aderire coscientemente al cambiamento dello stile di vita. Il paziente viene così informato senza essere allertato dell’esistenza di questa complicanza, della possibilità, in situazioni come la sua in cui il sistema linfatico ha subito un danno, della comparsa di edema e dei comportamenti da adottare. E’ importante che a queste spiegazioni sia data una base scientifica che permetta di differenziarle dalle informazioni non sempre corrette ma sempre più fruibili che si trovano su Internet o sulle riviste. In particolare durante la seduta saranno mostrate diapositive e immagini che illustrino in modo semplice e intuitivo i seguenti concetti discussi insieme al fisioterapista: Cos’è il linfedema? Perché si presenta in alcune persone e in altre no? Qual è la percentuale di insorgenza? Come si riconosce ai primi sintomi? In quali parti del corpo si può manifestare? Quali sono i comportamenti idonei a “prevenirlo”? Come comportarsi e a chi rivolgersi in caso di comparsa di edema per evitare trattamenti inutili e privi di evidenza scientifica? In caso di linfedema dell’arto superiore al primo stadio il trattamento precoce è in grado di indurre una regressione anche completa con un modesto impegno terapeutico. L’uso di un bracciale elastico di prima classe di compressione si è dimostrato in grado di ridurre in maniera pressochè completa entro un mese un linfedema appena insorto. In caso di comparsa del linfedema può essere indicato un tutore elastico leggero per un mese: se l’edema si riduce si sospende l’utilizzo del bracciale e si riprende la sorveglianza, mentre se l’edema aumenta si inizia il ciclo di terapia decongestiva. Un paziente correttamente educato e motivato adotterà uno stile di vita che ridurrà la possibilità di comparsa del linfedema e sarà in grado di riconoscerlo precocemente nel caso compaia. Un edema trattato tempestivamente può regredire o comunque essere fermato prima che possa provocare complicanze sfavorevoli per il paziente (mediche ma anche psicologiche e sociali) con un notevole risparmio di risorse anche economiche.
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